LA CHIESA DI MONTEPIATTO
una vicenda cinquecentesca e il suo sviluppo
Da documenti di fine quattrocento sappiamo che due giovani ragazze di Torno , Ambrosina dei Crivelli e Clara de Benzi avevano fatto professione religiosa presso il monastero varesino di S. Maria del Monte , organizzandosi secondo le regole agostiniane già praticate dai monaci di S. Ambrogio in Milano, per impulso della beata Caterina da Palanza e Giuliana.
Torno viveva tempi di grande prosperità economica e sociale: popolosa, operosa nella produzione di panni, avvantaggiata dalla posizione in riva al lago, fra vigne e boschi. Le famiglie del paese pensarono di poter sopportare l'onere di una comunità religiosa femminile e nel 1507 l'abadessa Biumi ricevette in dono la chiesa di Montepiatto, già sede di una confraternita dedicata alla Visitazione, e i possedimenti annessi con un recentissimo edificio appositamente costruito.
Il 16 dicembre dello stesso anno ci fu il solenne ingresso nel nuovo monastero dedicato a S. Maria e S. Elisabetta. Le monache, giunte a Cernobbio da Varese, raggiunsero Torno in barca accolte da grandissima e rumorosissima festa. Un corteo numeroso e festante raggiunse Montepiatto. Con Ambrosina Crivelli, abadessa della nuova fondazione, entrarono altre dieci monache professe e alcune converse, originarie per lo più del lago e della Vallassina. La comunità prosperò rapidamente, ricevendo ricche donazioni, e nel 1514 venne solennemente consacrata la chiesa notevolmente abbellita.
In occasione della distruzione di Torno ad opera degli Spagnoli e degli sforzeschi nel 1522 il monastero si aprì per accogliere donne e bambini, distribuendo a quanti erano stati privati di ogni avere il necessario per vivere.
Nel 1529 i Tornaschi rientrarono nella loro terra, ricostruirono ciò che era stato distrutto, rinfrescarono le chiese, riattivarono le manifatture. Qualche anno dopo Francesco Sforza si riappacificò con il paese ribelle, ma Torno non sarà più la comunità prosperosa del tempo, rattrapito in una economia di sussistenza alla fine del secolo la popolazione sarà di solo seicento persone.
Anche il monastero di Montepiatto che necessariamente viveva della vita del paese decadde e quando nel 1572 venne soppresso l'odine religioso degli Umiliati e cessò l'attività tessile in Torno le monache che si dedicavano alla filatura della lana si trovarono a mal partito senza commissioni in grado di assicurare loro il sostentamento.
La vita della comunità era però sempre esemplare tanto che, come racconta il Ninguarda negli atti della sua visita pastorale, vi erano state trasferite alcune religiose del soppresso monastero di Bedero Valcuvia.
Nel 1595 ottennero dal vescovo Archinti la facoltà di far questuare nella città di Como e nei paesi vicini a loro favore. Nel 1598, decimate le monache da una pestilenza, le ultime due supestite vennero trasferite alla casa madre del Monte sopra Varese. Dopo quattro anni ci fu la soppressione del monastero e i beni e le rendite di sua pertinenza passarono a Varese. I tornaschi cercarono a lungo di farsi restituire quanto il paese aveva impegnato nell'erezione della Visitazione di Montepiatto, ma conservarono sempre buona memoria delle religiose e della loro generosità.
Nel 1615 le monache di Varese cedettero alla comunità di Torno ogni diritto sulla chiesa e sul convento di Montepiatto, e l'anno successivo vendettero a Ludovico Tridi, abitante del borgo di S. Agostino, il giardino e la masseria, gli orti con le cascine e numerosi terreni situati nel territorio tornasco. Il Tridi si assumeva anche l'onere di versare una somma a Torno per liberare le religiose da ogni impegno precedentemente assunto verso il paese e verso i canonici della cattedrale e di San Fedele.
Nel 1724 vennero due eremiti a ridar vita al luogo abbandonato.
Nel 1765 donna Anna Tridi con un lascito stabilì che a quanti si fossero recati a Montepiatto per la messa nel giorno della visitazione venisse distribuito del pane.
Quando vennero di moda le escursioni in montagna vi venne situata una "stazione" del Club Alpino comense in quanto a "portata di sentiero" con le mete più interessanti lungo i Monti affacciati sul lago, la Vallassina e la Brianza.
Il 13 marzo 1893 monsignor Ferrari, vescovo di Como, raggiunse Montepiatto in occasione della visita pastorale a Torno, mentre si provvedeva alla sistemazione dell'ossario entro la facciata della chiesa: le Romite dormono ora nella loro antica casa.
Tratto da: la Collana "Civiltà Monastica".
I SANTI CHIODI
Sono tra le reliquie più preziose del mondo cristiano
STORIA
Secondo la tradizione cristiana, i Santi Chiodi furono rinvenuti dall'imperatrice Elena durante il suo viaggio in Terrasanta nel 327-328. Secondo tale tradizione, Elena quando lasciò Gerusalemme, portò con sé i chiodi: tornata a Roma, con uno di essi avrebbe creato un morso di cavallo, e ne avrebbe fatto montare un altro sull'elmo del figlio Costantino I, affinché l'imperatore ed il suo cavallo fossero protetti in battaglia. Ad essi si accenna per la prima volta il 25 febbraio 395 in un'orazione di Aurelio Ambrogio, che dell'esistenza delle reliquie parlò anche nell'orazione funebre per l'imperatore Teodosio. Gregorio di Tours parlò di quattro chiodi giunti a Roma. Le vicende successive delle reliquie si perdono nell'assenza di documentazione, restando solo varie tradizioni orali impossibili da verificare.
NUMERO DEI SANTI CHIODI
Una ricerca interessante riguarda il numero, la forma, la sopravvivenza dei Santi Chiodi della Croce di Cristo. Innanzi tutto la determinazione del numero di chiodi adoperati ha costituito motivo di discussione fin dai tempi più antichi. Furono tre o quattro i chiodi usati? Tre se si ritiene che i piedi fossero sovrapposti e trafitti quindi da un unico chiodo; quattro chi sostiene che i piedi fossero accostati e quindi inchiodati separatamente. Tutto ciò non è sufficente a spiegare il gran numero di chiodi (circa trenta) che sono venerati in varie località d'Europa, per ognuno dei quali si avanza la pretesa che sia autentico.
SANTI CHIODI CONSERVATI IN LOMBARDIA
TORNO
Il Santo Chiodo di Torno è in ferro, misura una lunghezza di 20 cm, ha uno spessore di 1,5 cm la capocchia di 4 cm. E' conservato in una tecla di cristallo e argento dorato, a sua volta inserita in una croce più grande in argento e rame dorato, foderata di velluto rosso. La croce interna sembra risalire al secolo XVI, mentre quella esterna è del 1701. La reliquia è conservata fin dai tempi più antichi in una cassa di legno chiusa da sette chiavi diverse che erano gelosamente conservate dal parroco e da sei eminenti famiglie del paese; si riteneva essere un grandissimo onore questo possesso, che addirittura veniva rimandato al primogenito per legato testamentario.
Negli ultimi tempi sei delle chiavi sono depositate nelle mani del prevosto di Torno e quindi sono caduti in disuso i rituali dell'apertura della cassa, che invece sono stati sempre scrupolosamente rispettati nei tempi passati, e che sono documentati più volte in varie cronache.
Molte sono le testimonianze che provano la continuità e l'intensità del culto prestato nel corso dei secoli alla reliquia di Torno.
MONZA
E' il più importante di quelli conosciuti. La sua storia si perde nella notte dei tempi, viene fatta risalire, da Sant'Ambrogio, all'epoca dell'imperatore Costantino e di sua madre Elena e al viaggio che essa fece in Palestina. Il Santo Chiodo è inserito nella Corona di Ferro che si ritiene derivi dall'elmo di Costantino. Sono giunte sino a noi tre monete in cui l'imperatore è raffigurato con l'elmo bordato del diadema in cui è riconoscibile la Corona Ferrea, che ne è un resto. Nell'oggetto attualmete visibile non esiste più alcuna traccia della calotta dell'elmo cui era fissato (probabilmente rimasto a Costantinopoli e andato perduto). Sei delle sue placche sono fortunosamente pervenute fino a Monza.
Nonostante gli approfonditi studi scentifici condotti, la Corona resta un enigma: per la definizione della sua datazione certa, poichè la sua storia vista sopra non è comprovata da nessun documento; certamente non risale all'età carolingia ma è molto più antica.
E' considerata dalla storia dell'arte un unicum, appare come un diadema aureo composto da sei piastre rettangolari impreziosite da cabochon con granati, corindoni azzurri, ametiste. Ogni placca è divisa in due parti: una fila verticale di tre gemme e un settore rettangolare con quattro rosette d'oro, un cabochon centrale e quattro piastrine smaltate.
E' stata usata per incoronare imperatori e re, fra i quali: Carlo Magno (800), Corrado di Lorena (1093), Corrado III di Svezia (1128), Federico I Barbarossa (1158), Enrico VI di Hohenstaufen (1186), Carlo IV di Lussemburgo (1355), Napoleone I Bonaparte (1805), Ferdinando I d'Austria (1838).
MILANO
La più antica menzione del Sacro Chiodo di Milano è del 1389 in un registro conservato nell'archivio storico civico della città. La tradizione fa risalire la presenza del Chiodo a Milano dall'epoca di Ambrogio. In origine si trovava nell'antica chiesa di Santa Tecla, fu trasferito in duomo nel 1461 quando essa fu soppressa. Il Sacro Chiodo è oggi conservato in un tabernacolo, posto nel semicatino absidale e segnalato da una luce rossa, e secondo la tradizione è uno dei due provenienti dal morso del cavallo di Costantino I.
Bibliografia e riferimenti principali:
IL SANTO CHIODO DI TORNO di Maria Laetitia Riccio Colletti.
STORIA DI MONZA di Valeriana Maspero.
Wikipedia.